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Per sfoghi, consigli e persino per pessimi esempi, scrivetemi all'indirizzo: postadelcuore@ilgiornale.it
Source: Il Giornale
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Source: Gazzetta.it
Intervista con il violinista e compositore, Francesco Del Prete
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- Published on Martedì, 14 Settembre 2021 09:42
- Scritto da Andrea Turetta
- Visite: 855
Prodotto dall’etichetta pugliese Dodicilune, nella collana editoriale Controvento, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digital, è uscito "Cor cordis", il nuovo progetto discografico del violinista e compositore salentino Francesco Del Prete. Nove composizioni originali per scoprire ciò che vive oltre la superficie delle cose e dell'essere umano e per andare al di là di ciò che l'occhio vede in "prima battuta" per approdare nel “Cor cordis”, il "cuore del cuore" del microcosmo che ci circonda. In alcuni brani il musicista, che alterna il violino acustico ed elettrico e si accompagna con loop station e suoni elettronici, è affiancato dalla voce di Arale - Lara Ingrosso, con cui condivide e cura anche la produzione musicale e artistica del disco, dal violoncello di Anna Carla Del Prete, dalla batteria di Diego Martino, dal sax soprano di Emanuele Coluccia, dal synth di Filippo Bubbico e dal trombone di Gaetano Carrozzo. Ecco l’intervista gentilmente rilasciata dall’artista…
Qual è stato lo spunto che ti ha fatto partire con il tuo nuovo progetto discografico "Cor cordis"?
Più che uno spunto si è trattato di un’esigenza: proseguire il percorso di ricerca – cominciato qualche anno prima col mio disco d’esordio “Corpi d’Arco” – tra le potenzialità espressive, soprattutto celate, di uno strumento eccezionale qual è il violino. Ma, mentre il primo lavoro era alimentato dall’entusiasmo della scoperta di un nuovo modo di comporre – poter realizzare cioè tutti i brani sovraincidendo più tracce di violino pizzicato, plettrato, percosso, sfregato con l’archetto, esaltandone in tale maniera tutta la versatilità melodica, armonica e ritmica – la nuova produzione discografica intitolata “Cor Cordis” (il cuore del cuore), evitando che questo modus operandi molto personale diventasse un mero esercizio di stile, va letteralmente oltre permettendomi di scendere più in profondità nella composizione e nella sostanza presa in esame.
Nove composizioni originali per scoprire ciò che va oltre la superficie. Quasi un andare controcorrente in un mondo che a volte sembra essere estremamente superficiale…
Col senno di poi, anche questa è stata molto probabilmente un’urgenza: recuperare quella dimensione più intima, meno visibile – perché evidentemente più preziosa – che ciascuno di noi difende con gli artigli e a volte protegge con una maschera. Questo l’intento del nuovo disco che, come evidenziato già dal titolo, non si accontenta di quel che ci viene incontro camuffato da qualunquismo, opportunismo, prevedibilità e prova a riflettere sul vero significato di ciò che ci circonda.
Foto di Stefano Tamborino
Hai alternato il violino acustico ed elettrico e ti sei accompagnato con loop station e suoni elettronici, quindi hai sempre un occhio di riguardo per la tecnologia applicata alla musica?
Intanto è doveroso da parte mia riconoscere l’ausilio fornitomi dalla tecnologia nel momento del bisogno: una volta terminato il mio percorso classico all’interno del conservatorio ed imbroccato con consapevolezza nuove direzioni musicali (jazz, world music, pop, rock,…) che mi avrebbero permesso di condividere il palco con strumenti dalla voce meno “delicata” del mio (trombe, sassofoni, chitarre elettriche, bassi amplificati, sintetizzatori, batterie, percussioni,…) mi son trovato obbligato ad alzare il volume per esibirmi nelle grosse location destinate ad accogliere un pubblico numeroso che non occupava più solo le sale da teatro o gli antichi e suggestivi chiostri. Il violino elettrico è stata la risposta più immediata per superare quel momentaneo impasse. Ma, come si suol dire, l’appetito vien mangiando: collegarsi a pedaliere multieffetto (che filtrano e modificano la tua voce attraverso delay, riverberi, chorus, distorsioni varie, wha-wha, octave,…) e loop-machine (che registrano in tempo reale le varie parti di un brano musicale permettendoti di realizzarlo come se ti trovassi al lavoro con un multitraccia) è stato il passo successivo che mi ha fornito nuovi e più originali strumenti per meglio comunicare e rivelare il mio mondo interiore. L’apporto di un certo tipo di elettronica nella realizzazione dell’album “Cor Cordis” – curata dalla producer Lara Ingrosso in arte Arale, che nel disco canta anche su un paio di brani – ha invece sublimato alcuni passaggi del disco che necessitavano o di un supporto ritmico più efficace ed originale oppure di suggestioni e colori amalgamati coi miei suoni.
Ci sono altri musicisti che hanno collaborato con te in questo nuovo disco… Importante, suppongo, il loro apporto per la riuscita finale del progetto artistico…
Come ampiamente illustrato precedentemente, questo progetto può essere considerato una sorta di one man band dove un violino a 5 corde collegato con pedaliere che ne valorizzano e potenziano le capacità si rivela autosufficiente nella costruzione di brani inediti. Ma questo non mi preclude la possibilità di avvalermi del pregevole contributo di valenti professionisti nonché amici e delle suggestioni fornite dai loro timbri e dalla loro poetica, necessarie per arricchire il lavoro discografico e le performance live: dal sassofono alla voce, dal synth al violoncello, dal trombone alla batteria, tutti concorrono ad impreziosire la mia musica in una maniera unica.
Come hai vissuto i vari periodi della pandemia, il non poter suonare in pubblico ecc.?
Inutile girarci attorno magari per trovare parole più leggere: per chi come me considera la condivisione live col pubblico il momento di sublimazione di un lungo percorso cominciato nella propria stanza intento ad abbozzare le prime note in solitaria, l’assenza totale di concerti in presenza, per un periodo così lungo, è stato un dramma che ogni musicista ha vissuto nel proprio intimo. Se da una parte il lockdown, ridefinendo spazi e tempi, ha indubbiamente concesso più ore da dedicare alla scrittura, alla composizione, allo studio ed alla sperimentazione, dall’altro ha totalmente cancellato la possibilità di condivisione live con l’ascoltatore riducendone drasticamente i conseguenti benefici: ispirazione, stimoli sensoriali, contatto umano, condivisione emotiva, empatia…
Non un caso se il disco si apre con “Gemini”, un po’ un tuo biglietto da visita visto anche che è il tuo segno zodiacale…
L’intento del disco è quello di esortare l’ascoltatore a non fermarsi al primo sguardo, al primo ascolto o, come mi piace alludere musicalmente, alla prima battuta: provare a superare quello che abbiamo ormai appreso essere scontato al fine di scoprire identità celate e giungere magari a comprendere anche il perché di determinati comportamenti: quindi no, non è un caso che il disco cominci con Gemini, il brano che probabilmente meglio mi rappresenta in questo periodo, per poi proseguire tra le pieghe dell’animo umano per rivelarne luci ed ombre (“Il teschio e le farfalla”, “SpecchiArsi”) o per svelarne falsità e menzogne (“L’inganno di Nemesi”), bramando bellezza (“Lo gnomo”, “L’attrice”) e realizzando, nel frattempo, che le ore camminano inesorabili ed incuranti di tutti noi (“Tempo”).
Fin dai tuoi primi passi nella musica hai dato spazio a sonorità inedite e modi alternativi di utilizzare lo strumento. L’originalità e lo stile contribuiscono non poco a fare un artista?
Prima di tutto hanno di certo contribuito a dare fisionomia e struttura ben definite alla mia proposta musicale. Il mio sound poi, come già detto, ha beneficiato di devices elettronici che, tentativo dopo tentativo, giorno dopo giorno, gli hanno regalato singolarità e peculiarità uniche e di conseguenza immediatamente riconoscibili all’interno del panorama musicale. Per quanto riguarda invece le maniere alternative di approccio allo strumento a corde, sicuramente la chop technique – una tecnica ritmico-percussiva che trasforma l’archetto e i suoi crini in strumenti capaci di costruire solidi grooves su cui impiantare la mia musica – occupa un ruolo di primo piano nel mio violinismo.
Oggi, un compositore deve saper spaziare tra vari generi musicali? C’è una maggior possibilità di unire culture diverse?
Il compositore moderno è ormai obbligato ad essere ferrato in vari generi musicali: c’è chi lo fa per alimentare la propria ispirazione e chi per allargare le proprie conoscenze e competenze al fine di essere più produttivo; bisogna tener conto di quanto sia diventata trasversale questa figura, che un giorno può scrivere colonne sonore per film, serie tv, videogiochi o documentari e magari il giorno successivo proporre un brano di musica pop alla Warner e alla Sony, oppure chiudere la sonorizzazione di un’installazione alla Biennale; sono tutte partiture con linguaggi, approcci e stili differenti che si fondano su vari generi musicali e sono destinati a target di fruitori diversificati.
Per quanto riguarda invece la possibilità di unire culture diverse mi stai chiedendo per caso se la musica debba avere significati politici? Certamente, secondo me! Se per esempio mi lascio influenzare dai ritmi delle danze Swahili nella composizione di un mio brano sto implicitamente caldeggiando l’inclusione di popoli e culture lontanissime dalla mia per una felice convivenza e mutua condivisione. Se poi questo sia sufficiente per vivere in un mondo multicolore: beh, questa è un’altra storia..
Quando si compone, quanto contano cuore e passione?
Per quel che mi riguarda sono elementi fondamentali durante la prima fase della scrittura; sono un compositore atipico, con un approccio più jazzista rispetto ad altri colleghi: il 95% dei miei brani sono nati improvvisando col mio strumento melodie, riff col plettro, pattern ritmici, linee di basso ispirate dal momento, dalla contingenza, dallo stato d’animo, dagli studi appena svolti, dall’urgenza di dire qualcosa in una determinata maniera; sincerità, trasparenza, affetti ed uno sconfinato ed incrollabile desiderio di poter comunicare con gli altri arricchiscono ed impreziosiscono la mia musica. Diciamo che cuore e passione sono automaticamente conditio sine qua non per quello che faccio.
Parlando di “mondo delle sette note”, ormai ci bazzichi da un po’… come lo trovi cambiato da ieri ad oggi?
È una domanda che meriterebbe risposte molto lunghe e particolareggiate. Provo a dar voce ad alcuni pensieri su cui ragiono di tanto in tanto.
Sicuramente le cose sono cambiate rispetto ai miei primi tempi. Allora si facevano i salti mortali per mettere su progetti musicali che dessero voce alle istanze del momento (jam sessions, orchestre e band nate per occasioni mirate, prove quotidiane interminabili per metter su spettacoli in poco tempo,…); oggi, da quel che vedo in giro, noto che questo slancio si è più che raffreddato, certamente perché l’industria musicale ha cambiato aspetto: mentre noi acquistavamo il disco fisico che comportava del tempo per essere ascoltato ed assimilato (nonché ammortizzato), le nuove modalità di fruizione on line hanno accelerato a dismisura e contemporaneamente reso più asettica la fruizione musicale, impoverendola non poco. Questo inaridimento ha coinvolto anche l’atto della creazione musicale perché strettamente correlato all’esperienza uditiva. Ma non mi lamento: ognuno deve essere figlio della propria epoca, anzi di più epoche, ormai, perché il mondo va veloce e cambia le carte in tavola costantemente: non si può rimanere indietro, pena la frustrazione e la solitudine.
Che cosa significa per un artista potersi esprimere liberamente al 100%?
Nella definizione di artista è insito il concetto di libertà altrimenti crollano il senso, il significato, l’obiettivo dell’arte in generale. Una famosa ed incontrovertibile citazione da un poema di Cesar A. Cruz recita: "Art should comfort the disturbed and disturb the comfortable". Questo definisce chiaramente le condizioni di indipendenza ed autonomia in cui dovrebbe lavorare un artista per poter produrre opere di valore che possano dare risposte nuove ed alternative alla realtà, oppure al contrario porre delle domande scomode per rimescolare le carte in gioco ed alzare un altro po’ l’asticella della consapevolezza umana. La maggior parte della musica prodotta oggi ha invece dei fini diametralmente opposti: rilassare, rassicurare, accontentare, narcotizzare, cercando di mantenere uno status quo che ripaghi pochi da un punto di vista economico.
L’aspetto “live” del tuo lavoro, quanto ti piace?
Ho già ampiamente sciorinato al riguardo nelle risposte precedenti, quando si parlava degli effetti negativi della pandemia. Per me suonare il violino è un’esigenza prima di tutto fisica: è come se il mio corpo si fosse abituato a determinati movimenti, automatismi, attività sensoriali e avesse bisogno di ripeterli per trarne giovamento; se a questo aggiungiamo l’aspetto comunicativo della questione – non dimentichiamo che la musica è un linguaggio, e le lingue servono per comunicare – allora concludiamo che senza la performance live la mia musica ne sarebbe drasticamente impoverita.
Cosa consigliare ad un giovane che desidera intraprendere la strada della musica?
1) Di avere molta pazienza;
2) di comprendere sin da subito che il mestiere del musicista, se fatto con convinzione, fa star bene in primis il musicista stesso, indipendentemente dai successi ottenuti, perché coinvolge emotivamente la persona procurandole benessere;
3) di avere ancora pazienza;
4) di studiare ed aggiornarsi costantemente: considero i migliori compositori e performer come degli scienziati che cercano, provano, sperimentano, falliscono e poi ricominciano senza perdere stimoli e urgenze; siamo invece circondati da ottimi tecnici ed addetti ai lavori che si limitano a proporre il solito senza mettersi in gioco;
5) di continuare ad avere pazienza.
Info e contatti:
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Youtube.com (DodiciluneRecords)