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Intervista con Alessandro Bertozzi
- Dettagli
- Published on Mercoledì, 30 Settembre 2020 09:00
- Scritto da Andrea Turetta
- Visite: 989
Disponibile su tutte le piattaforme digitali, Trait D’Union è il nuovo capitolo discografico firmato dall’eclettico sassofonista e compositore Alessandro Bertozzi, pubblicato dall’etichetta Level49, album anticipato dal singolo Giula attraverso un video su YouTube. In Trait D’Union, il musicista emiliano è affiancato da cinque validissimi partner come Pap Yeri Samb (voce), Andrea Pollione (tastiere), Alex Carreri (basso), Maxx Furian (batteria) ed Ernesto da Silva (percussioni). La tracklist del CD è formata da otto brani originali figli della fervida creatività compositiva di Bertozzi. Ecco l’intervista gentilmente rilasciata dall’artista…
L’Africa ti è stata d’ispirazione nel nuovo album, “Trait d’Union”…
Certo. I suoni, i colori e i ritmi tribali africani mi hanno sempre trasmesso delle forti emozioni e ho cercato di metterle a fuoco in questo disco.
Il blues, jazz e funk, generi musicali che prediligi, sono in qualche modo presenti nelle sonorità del nuovo album?
Sicuramente. In questo lavoro ho provato a unire questi generi che ho sempre suonato con suoni percussivi e cori che richiamano le sonorità africane e il suono globale mi piace. Spero piaccia anche a chi l’ascolta.
Rispetto ai tuoi precedenti lavori discografici, hai scelto con il tuo nuovo album, di fare qualcosa di totalmente nuovo e sperimentale o, in parte di seguire anche la traccia dell’esperienza?
Nei miei Cd ho sempre cercato di introdurre qualcosa di nuovo per creare sonorità particolari, l’ultimo ad esempio (Into the stringe) l’ho fatto con un’orchestra d’archi, cosa che per un sassofonista jazz-funky è un po’fuori dall’ordinario. Ma è la cosa bella della musica: poter creare in base alle sensazioni che senti al momento. Che vengono sicuramente anche dall’esperienza, perché le sensazioni che hai a 20 anni a 30 le hai già abbandonate per cercarne di nuove.
Chi sono stati i tuoi maestri?
Musicalmente parlando, data l’età ho ascoltato molta fusion-jazz da giovane e ho imparato molto dagli artisti di quell’epoca: Herbie Hancock, Michael Brecker, David Sanborn. Nel jazz piu’classico invece ho sempre amato Phil Woods per il suono che aveva e Paquito D’Rivera per la tecnica ed il groove latino.
La professionalità quanto conta nel tuo mestiere?
Secondo me molto, anche se spesso commercialmente non viene riconosciuta perché non ritenuta indispensabile. Ma per me la è, se vuoi creare cose che si distaccano dal banale.
Nel tempo, hai un pubblico che è cresciuto con te? Come è composto?
La mia tipologia di pubblico è molto semplice da definire: persone di ogni età che si sono stufate di sentire sempre la solita musica e cercano qualcosa di nuovo. E di queste persone ce ne sono molte di più di quanto si creda. Nonostante i media facciano di tutto perché tutti ascoltino la stessa musica, per fortuna non tutti ci stanno a questo gioco.
Oggi è molto faticoso riuscire a portare avanti le proprie idee artistiche in modo indipendente?
Si ma lo è sempre stato, non è una novità. La cosa che oggi può essere d’aiuto rispetto al passato è che puoi comunicare con tanta gente direttamente attraverso i social. Ma credo che il modo migliore per portare avanti la propria musica sia sempre quello : suonare live. Il concerto virtuale è ancora molto lontano dal potere trasmettere sensazioni come un concerto live.
Chi fa musica, oggi riesce a far quadrare i conti o tutto è piuttosto instabile e precario?
La maggioranza di chi vive di musica in questo momento è nel periodo peggiore degli ultimi 50 anni, per due motivi: il primo è che questo virus ha bloccato la maggioranza delle esibizioni e il secondo è che in passato un artista ci metteva anni per raggiungere i suoi traguardi ma una volta arrivato ai suoi obiettivi ci rimaneva per sempre. Adesso invece, con questo ricambio continuo di tendenze, di mode, si rischia di avere un successo effimero, che può durare tanto ma può anche finire dopo pochi mesi…
In questi ultimi anni, il mondo della musica ha subito dei veri e propri terremoti… Cambiamenti anche piuttosto drastici, dovuti anche alle nuove tecnologie… Come vedi tutto questo?
Personalmente ho sempre visto le nuove tecnologie come costruttive a livello artistico, se usate nei dovuti modi. Diverso è invece quando le nuove tecnologie vengono usate per rimpiazzare un musicista creativo che sarà sempre in tutti i casi migliore di un computer.
Ci sono degli ostacoli o difficoltà che hai dovuto superare per arrivare a completare questo tuo nuovo album?
No, perché sono stato accompagnato da musicisti coi quali ho trovato subito una buona intesa sia musicale che personale. Pap Yeri Samb è proprio la voce giusta che cercavo, la ritmica di Maxx Furian e Alex Carreri hanno il groove giusto e le percussioni di Ernesto Nanque da Silva danno i colori giusti a tutto l’insieme.
Per un artista è importante avere qualcuno che crede in lui e gli è a fianco… immagino sia così anche per te…
Si, in questo mi ha sempre aiutato molto la mia label Level49 di Chiara Ferri, che spesso ha trovato le soluzioni giuste a problemi che io avrei fatto fatica a risolvere. Oggi si dà per scontato che un musicista debba farsi anche da manager, da discografico, da booking. Ma sono tutte cose che bisogna riuscire a delegare a qualcuno più bravo di te : il musicista deve suonare.
C’è una canzone che è la tua ideale colonna sonora?
Guarda, non saprei risponderti perché sono tanti i brani che mi hanno dato emozioni e stimolato a livello creativo. E soprattutto di tanti generi diversi, dal jazz al rock alla musica latina.
Molti si chiederanno come lavori un compositore… come gli “arrivino” le idee… se magari si appunta in un notes gli spunti da approfondire ecc. Hai un metodo di lavoro particolare?
Si. Quello di potere, quando mi viene un’idea, salutare tutti e scriverla prima che mi scappi dalla mente. Basta anche scrivere tre note, poi quando le rileggi ti torna in mente tutto quello che avevi in testa prima. Ma se dimentichi quelle prime tre note tutto svanisce…
Quanto tempo dedichi al perfezionamento?
Purtroppo poco perché sono molto impegnato, ma ogni tanto mi chiudo nel mio studio e faccio 15 giorni di isolamento a studiare per migliorarmi. Perché c’è sempre da migliorare.
Sei soddisfatto del risultato finale ottenuto con “Trait d’Union”?
Si, sono contento perché è uscito naturale così com’è, non c’è stato bisogno di rifare o sistemare tante cose come succede spesso. Ma sarò ancora più contento quando riuscirò, spero l’anno prossimo, a proporlo live nei teatri.
Per ulteriori info:
https://www.alessandrobertozzi.it/alessandro-bertozzi-biografia/
https://www.facebook.com/AleBertozziProject